Sebbene la domanda sia alquanto strana, la risposta sonora secondo me esiste. E’ l’omonimo debutto dell’ingiustamente sconosciuto combo dei Journey to Ixtlan. Dei seguaci dello sciamano yaqui Don Juan (vedi bibliografia di Carlos Castaneda), colpevoli di questo accecante disco, nulla è dato sapere perché a quanto pare sono dei farabutti, dei veri e propri delinquenti con la fedina penale.
Quanto al disco è una intensa opera di desert rock, che muove da territori western per congiungersi alla vecchia scuola psichedelica statunitense, ma con una drammaticità di intenti ed una perversione necrofora degna di nota.
Se l’iniziale Pueblo può far pensare ad un Santana ormai decrepito strafatto di boletus velenosi e piscio d’alce (gli sciamani indiani lo facevano per avere le visioni e non morire avvelenati…non provateci soprattutto perché è difficile trovare il piscio dell’alce), la successiva Spiritual Delousing vi fa capire dove ci troviamo: una chiesa deserta nel bel mezzo di canyon rocciosi, abitata da qualche jinn dalla voce impercettibile e solforosa. The mesa è cacofonica, giganteggiante e riverberata, tranne che per una chitarra lontana. Sempre il solito sciamano sullo sfondo a parlare con il bisonte bianco. E se questa è la Mesa , figuratevi cos’è la successiva Corpse of the Mesa, ovvero il suo cadavere…un bordone d’organo messo in mano ai Sunn O)))… The Cactus Shrine ci riporta su territori più “umani”: doom acido dannato da un flauto di pan degli altopiani peruviani e funestato da un coro di condannati a morte, costretto a cantare col cappio al collo e le lacrime agli occhi. Pyramids of Light è la loro versione putrefatta ed efferata del Brian Eno più cinematografico e quando ormai non ti aspetti alcuna possibilità di salvezza, arriva il pezzo meno terrificante del lotto: Dawn of the Nagual. Il Nagual per Castaneda è colui che può guidare gli altri a nuovi livelli di percezione, alla realtà inesprimibile…effettivamente la degna colonna sonora di “Un uomo chiamato cavallo”, soprattutto nella scene di tortura. Burnt coyote teeth è la mia preferita assieme a Pueblo: un concentrato in disfacimento di LSD e frutta troppo matura con mosche e simpatiche larve. La finale Codex of Crows è la pace dopo la putrefazione: dopo la luce senza pietà del deserto, una eternità in penombra. Amen.
Lo trovate qui .
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