giovedì 31 marzo 2011

yourbandsreview webzine: SPARKLE IN GREY & TEX LA HOMA – WHALE HEART, WHALE...

yourbandsreview webzine: SPARKLE IN GREY & TEX LA HOMA – WHALE HEART, WHALE...: "Ignoravo l’esistenza di questo combo milanese, gli Sparkle in Grey, e me ne dolgo. Vedrò di recuperare. In questo album diviso a metà con t..."

H. ZAZOU - Reivax au Bongo

Per chi non conoscesse Zazou, questo delizioso compositore francese, Reivax au Bongo non è il disco più facile per iniziare. Forse l'inizio giusto potrebbe essere il ben più celebre Chansons des mers froid.
Nel 1986 il nostro autore si inserisce nella matrioska che la Crammed Disc andava appena ad avviare, ovvero la serie dei dischi Made to Measure, delle pubblicazioni musicali dedicate alla musica su commissione (ovvero colonne sonore, teatro, video, ecc...), ma realizzata fittiziamente, ovvero senza un reale commissionante, esistente semmai solo nella fantasia del compositore commissionario. Sono le operazioni che mi fanno impazzire! Tra metà anni ottanta e metà anni 90 sono pubblicati 35 volumi con gente del calibro di Arto Linsday, John Lurie, Steven Brown...Comunque possiedo i dischi che Zazou fece per la serie (sono tre) e saranno il soggetto dei prossimi post.
Cronologicamente questo è il primo dei pubblicati (il secondo della serie). La pretesa dietro l'operazione è un fotoromanzo ambientato in Congo, con protagonista l'ispettore Reivax. Il booklet del cd rappresenta le peripezie di detto ispettore, nient'altro che Zazou stesso con orecchie a sventola finte, zuccotto nero in testa, occhiali da nerd incrociati con quelli di Lennon, gallabia africana. La musica è un misto di classica, synth, afro beat, etnica. Ciò che colpisce nell'opera è l'ellitticità, la sospensione in cui si muove tutto il contesto. Una già calda alba africana. Zazou infatti non sembra davvero svolgere un tema musicale, ma piuttosto a presentare dei piccoli quadretti - a volte non perfettamente consequenziali - che sembrano riferisi a scene, foto, fatti.
Appunto al fotoromanzo inesistente. Questo il pregio enorme di Zazou e della Crammed Disc, tentare di descrivere musicalmente una chimera, facendo finta di averla vista, toccata, prodotta.

Lo trovate qui: http://www.megaupload.com/?d=NQOR591H

martedì 29 marzo 2011

lunedì 28 marzo 2011

BEEHOOVER - Concrete Catalyst

Una tavolozza di colori decisamente limitata non necessariamente impoverisce un quadro. Dipende dalle capacità del pittore. Ascoltare i teutonici Beehoover conferma questo semplice assunto. Bianco e nero, basso e batteria, per un album che assomiglia ad una opera di Escher.
Siamo in ambito stoner/ doom, con vene psichedeliche, unite ad un amore tutto tedesco per i meccanismi e gli incastri. Schiaccianti come un caterpillar, i nostri assemblano un album pieno di fenomenali e violentissime bordate, inframmezzate da pause di riflessione magmatica. Uno scontro tra lottatori di sumo: peso, potenza, precisione.
Quanto al suono di basso. Ho contattato Ingmar, il bassista, via email, incuriosito dal suo suono. Il buon Ingmar non è stato reticente e mi ha svelato i suoi segreti (dai pedali alle corde)…ma non credo che la medesima dotazione di armi da fuoco, mi renderebbe un cecchino della sua specie.
Ultimo. Ho provato a chiamare locali in giro per portarli in Italia, ma nulla di fatto. Se vi piacciono fatevi promotori del loro nome e scrivetemi.

venerdì 25 marzo 2011

BARK PSYCHOSIS - Hex

I rumorosi anni '90 sono in pieno svolgimento e questi se ne escono con un prodotto così elegante. Sono pazzi? Visto il nome no, questi hanno la psicosi dei latrati, proprio non ce la fanno a sopportare il rumore.
Curiosa la genesi del disco. Inizialmente registrato in una chiesa, è stato poi demolito e ricostruito in sede di mixaggio con Pro-tools. In realtà qui il risultato è dato al 40% dai computer e non lo diresti.
Questo disco è una pietra miliare, sintesi di elettronica ambient, jazz, chanson e rock alla moviola. Se proprio devo parlare dei pezzi, direi che l'unico un po' loffio (quello che a volte saltate) è il finale Pendulum Man. Strumentale un po' troppo statico.
Per il resto vi consiglio di ascoltarlo in un ambiente raccolto e intimo, annodati come feti, con le cuffie in testa.

Lo trovate qui: http://www.mediafire.com/?fc2jzbf4eth

giovedì 24 marzo 2011

RUSH - 2112



A parte il naso del bassista, un capolavoro dell'hard rock più immaginifico.

Lo trovate qui: http://www.mediafire.com/?0rg5egmmnt1

L. ANDERSON - Life on a string

Decisamente balsamica e, almeno per la metà del disco, davvero diversa dal solito manierismo robotico che l'ha resa famosa. Direi che "Life on a string" pubblicato nel 2001, dopo trent'anni di carriera, è un disco atipico per Laurie e per me forse il migliore...almento fino a my compensation, vera frattura ahinoi del disco.
Ma andiamo con ordine. L'ambientazione delle prime tre tracce è decisamente marina e solare. Si parla di balene e isole. One white whale (ovvio il tema) si apre con la voce di una corista alla moda gospel e rimane poi sospesa praticamente solo sulla voce della Anderson. Il secondo pezzo the island where I come from, fa sorridere con i suoi fiati cameristici e le percussioni morbide. Un pezzo gentilissimo. Pieces and parts decisamente classicheggiante fa il paio con il piccolo strumentale di here with you. Arriva poi il vertice dell'album, slip away, che anche stamattina mentre venivo a lavorare mi ha fatto (quasi) piangere. Sempre cameristico nell'ambientazione, ma di sapore orientale, parla di un amico di Laurie che sta morendo. Il testo è semplicemente stupendo. Poi tutto si rovina, mannaggia...che è sta moda di farsi fare i dischi dai jazzpulators...dai jazzisti che scoprono il sampler...e che palle! Sentite la caduta appena parte my compensation. A tirarci su le costole dark angel (sì vabbe carina, ma un po' troppo new yorkke...) e statue of liberty...insomma se fosse un lato B di un ottimo lato A, la seconda parte del disco vi farebbe girare il vinile e ripartire dalla prima traccia per arrivare alla quinta...poi di nuovo indietro la puntina.

Lo trovate qui: http://www.mediafire.com/?mwgnymtyhij

martedì 22 marzo 2011

MC 900 FT JESUS - One step ahead of the spider

Questo album è da snob. Immaginate il tipo alternativo che dice: “io l’hip-hop non lo ascolto, ma questo disco…”. Una cosa così. D’altronde questo MC, prende il linguaggio del rap e lo trasfonde nella sua cultura musicale jazz. Un ragazzo bianco che suona la tromba ed ha una fascinazione assolutamente evidente per la letteratura. Infatti qui non si verseggia affatto per cercare la rima, l’assonanza, ma per raccontare storie, quadretti sia allegri che patetici. Insomma il clima è piuttosto urbano, da spettacolo di spoken word con sottofondo di percussioni jazzy e contrabbassi molli. A me piace molto l’apertura di disco, con la pioggia ed un drone di sitar a cauterizzare tutte le distrazioni dell’ascoltatore, per gettarlo poi in pasto al ragno del titolo (un giro di basso che s’acquatta grasso grasso sul pezzo), che fa scattare le zampette in cerca di prede (il clarinetto baritono e la chitarra in wha che appaiono e scompaiono), dando enfasi alle storie di Mark Griffin. Seguono un paio di pezzi molto funky – col vocoder e il flauto traverso – quasi ballabili. Su tutti i pezzi il meglio del meglio è stare and stare, con Vernon Reid dei Living Colors alla chitarra elettrica, qui non metal come nel suo solito ambiente, ma garbatamente jazz, che discute col basso elettrico.  Bella storia, riflessioni sul razzismo a bordo della metropolitana. Pezzo principe dell’album, non si discute, ma a me piace francamente tantissimo bill’s dream. Solo batteria e percussioni in stile Liquid Liquid, a supporto di un divertente racconto con protagonista un ciccione che guarda la TV a capodanno.

SMOG - The doctor came at dawn

Si potrebbe liquidare Billy Callahan come uno che non sa suonare. Probabile che sia anche vero. Probabile che i suoi suoni non siano altro che l’esito di una ferrea volontà di produrre comunque la propria musica, connessa ad una insopprimibile pigrizia nell’affrontare studi musicali seri.
Eppure.
La musica di Smog è vuota, dolente, ti costringe all’ascolto. Ti rompe le palle cantando svogliato di cose passate o di cose che non sono più quelle di prima, o di vicende infelici. Comunque che classe! Sembra di sentire la colonna sonora di una fiaba con al centro la figura di un principe infelice, solo che la fiaba non finisce, non evolve neppure. C’è il principe infelice nel suo scranno e fuori dal palazzo una terribile nube di smog che nessuno riesce a disperdere.
Tra i pezzi, abitati tutti da fantasmi, mi sembrano di particolare pregio l’iniziale You moved in, con i suoi archi dolenti, All your woman things per il testo – una sorta di descrizione postuma di una relazione sentimentale, illustrata con distacco alcolico -, Four hearts in a can, che si apre bucolica con la chitarra arpeggiata lenta per poi drammatizzarsi sulla fuga dei nostri da chissà cosa, e la finale stupenda Hangman Blues, per sola voce,cassa di batteria e forse un accordo. Sull'orlo della depressione, ma con stile.

sabato 19 marzo 2011

J. FOXX - The Garden

Ricordo quando comprai il cd di “The Garden”. Ero con il mio amico F., col quale invece di studiare, si andava a dischi. Lui non conosceva il tipo. Io quando lo trovai al negozio, tra le offerte, dove spesso si nascondono perle, lo afferrai come un felino. Poi ci tolsi la plastica per gustarmi l'artwork. A fianco il naso di F. Giro qualche pagina ed ecco una foto di John Foxx. Contemplo. F. sbotta: <<mamma che frocio!>>. Sì con un po' di gentilezza, effettivamente effeminato, penso io. Aneddoti di cercatori di dischi.
Tante volte ho sentito quest'opera, e ci ho sempre trovato qualcosa di nuovo. Soprattutto ho trovato nuove interpretazioni di quella foto. C'è John vestito interamente di bianco, con un gilè molto corto, grigio, spigoloso. Mano in tasca, l'altra lungo il corpo. E' posizionato in prossimità dell'uscio di una abitazione, all'interno della medesima. Dalla porta aperta si vede uno spiraglio di giardino. Di fianco Foxx ha un vaso bianco stretto e lungo, di foggia neoclassica, con dentro dei gigli bianchi. Tutto bianco insomma. Ed annegato dalla luce.
La foto per me significa, eleganza, lusso, contemplazione. Non so come descrivere meglio il disco, di cui è immagine perfetta.
New wave della migliore, riempita di giardini in decadenza, chiese gotiche e drum machine.

giovedì 17 marzo 2011

PRAXIS - transmutation (mutatis mutandis)

Sotto un ombrello ci si sta massimo in due. Se sotto l'ombrello dei Praxis ci metti Bootsy Collins (bassista per James Brown, Parliament e Funkadelic), Buckethead (chitarra turnista di molti e autore di diversi album in proprio, uno schizzato che prende Steve Vai e lo consegna agli alieni), Bryan "Brain" Mantia (batteria per Primus, Godflesh, Guns 'n Roses, Tom Waits), Bernie Worrell (tastiere varie per Parliament e Funkadelic), AF Next Man Flip (Lord of the Paradox) (dei Jungle Brothers, ai piatti), Bill Laswell (produttore, inutile parlarne, fate prima se andate su wiki)...allora qualcuno si bagna per forza. La pioggia che ti cade addosso è ghiacciata. Qui il funk e il metal entrano in fusione e i talenti sono così tanti e diversi che il prodotto non può essere catalogato. Si tratta di musica sperimentale che parte da linguaggi musicali conosciuti da tutti per approdare a rive inaccessibili, dove vivono gozilla, mothra e i suoi fratelli. Per niente sbruffoni per le loro capacità tecniche, vi illudono con partenze o pause di normalità, per poi rientrare come monadi impazzite nel loro cervello e fare con le mani (e i piedi) questa roba qua. Questi suonano per loro stessi, incidentalmente siamo in grado di capirli.
Li trovate qui: http://www.mediafire.com/?blxobitigzl

mercoledì 16 marzo 2011

BELOW THE SEA - Blame it on the past

Il sottogenere del post rock ha prodotto gruppi dai nomi evocativi, raramente composti da una sola parola. Non ho capito se mi attira di più il nome della band o la musica. Credo la musica…il nome in esame è quello dei Below the sea..sotto il mare…lì in fondo al buio, oltre l’acqua, cosa suona? Ho fatto memoria dello sciabordio delle onde, del suono che si sente dentro le conchiglie, del silenzio dei pesci, dei loro occhi senza profondità, delle acque frigide del polo viste in tv. Ma sotto il mare cosa suona?
Poi ho chiuso gli occhi, ho sentito questo e ho respirato l'acqua.
Lo trovate qui:  http://www.mediafire.com/?70kehlvnzc1

THE DUKES OF STRATOSPHEAR – 25 o’clock

Acido sogno quello dei Dukes of Stratosphear. Pastiche psichedelico, tributo alle band degli anni 60 con le quali, gli autori, erano cresciuti. I duchi infatti nient’altro sono che uno dei gruppi più importanti degli anni ’80 britannici, mal celebrati o meglio non celebrati nel corrente asfittico richiamo del pop modaiolo di quegli anni, sotto mentite spoglie. Si tratta degli XTC e se non sapete chi sono, state leggendo il blog sbagliato. Comunque c’è san Wikipedia e l’imprescindibile raccolta dei singoli della band, intitolata “Fossil Fuel” per recuperare lo iato culturale. A prescindere da questo, io degli XTC che posso dire…sono una delle mie band preferite. Per me stanno vicini ai Beatles per alcuni pezzi. Colin Moulding il bassista è una fonte di ispirazione come musicista. Soprattutto sono divertentissimi.

Parliamo però dei Dukes…a carriera avviata, a metà anni ’80 i giovani XTC si prendono una vacanza da se stessi e dalla fama crescente. Decidono di fare un dischetto intriso di rock inglese retrò. Vanno in campagna, tirano fuori strumenti dell’epoca, ma non basta. Si trovano una nuova identità, si travestono, si rinominano, perché non sono loro. Un disco così i fan non lo capirebbero. Vengono fuori sei canzoni deliziose. Su tutte la acidissima 25 o’clock…appunto un tempo che non c’è...in cui non essere se stessi.

L’album è stato riedito recentemente in “a luxurious hardback book format with 24 colour pages of full lyrics, photos and reams of brand new sleeve notes written by Dave Gregory, Colin Moulding and Andy Partridge”, dalla APE records, etichetta che sta buttando fuori praticamente qualsiasi cosa che i nostri eroi abbiano mai registrato nella loro strampalata carriera. Da notare l’artwork, in stile Cream.

Il file contiene la versione storica degli anni ottanta e le copertine del disco.
Lo trovate qui: http://www.mediafire.com/?2cjymmjf0zy

martedì 15 marzo 2011

RED HOUSE PAINTERS - Shock me e.p.

Strana faccenda i Red House Painters.
La creatura nasce ad immagine e somiglianza di un certo Mark Kozelek. Un tizio che dopo essersi bruciato per bene con la droga cerca di rimediare alle brutture della vita celebrando le memorie d'infanzia, quelle incantate, con una musica delicata, fragile e immobile.
Tra la non copiosissima produzione del gruppo, attivo di fatto principalmente negli anni 90 con una manciata di album, mi sembrava carino ricordare questo strano piccolo e.p., in cui Mark ed i suoi riprendono un classico dei classici, "Shock me" dei Kiss. L'operazione a mio giudizio è un giusto tributo a ciò che i Kiss sono divenuti. Icone dell'immaginario, ricordi dorati d'infanzia o di adolescenza, prime ribellioni che nel tempo scolorano e non scandalizzano più. Ancor più stupisce la versione strumentale del pezzo, che chiude il piccolo album. Da iniziale celebrazione acustica di uno storico riff di chitarra a bucolica pastorale per archi e ottoni. Come a dire che in fondo tutto ciò che è passato, quando smette di ferire, si ammanta di un malinconico languore sul quale indugiare chiedendosi: "ma ero davvero io questo?"